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Le Sirene
Golfi di Napoli e Salerno
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La leggenda racconta che le mitiche Sirene dimorarono nel mare dei Golfi di Napoli e di Salerno. Esse ammaliavano con il loro richiamo seducente i naviganti di passaggio, i quali soggiogati da quel canto irresistibile, perdevano il controllo delle imbarcazioni, andandosi a schiantare sugli scogli, ma Ulisse sfuggì abilmente al loro tranello facendosi legare all’albero della nave dopo aver tappato con la cera le orecchie dei suoi marinai, affinché non udissero il loro canto. Le tre Sirene, Partenope, Ligea e Leucosia per la disperazione si gettarono in mare tramutandosi in scogli. Così nacquero le isole Sirenuse o Li Galli. Il culto delle Sirene fu certamente osservato dai popoli dell’antichità e nella Penisola Sorrentina era stato edificato un grande Tempio ad Esse dedicato. La diffusione del culto, nella zona, è stata confermata dal ritrovamento, nella Necropoli del “Deserto”, di alcuni vasi raffiguranti proprio le Sirene. L’ubicazione di questo Tempio non è stata mai accertata, studiosi ed archeologi lo hanno cercato invano, avendo come unico riferimento le scarne indicazioni riportate da alcuni scrittori dell’antichità, quali Stazio e Strabone.
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Ingresso dell'Antro della Sibilla
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La Sibilla Cumana
Cuma (NA)
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Enea era profugo e dopo essere stato a Cartagine dalla regina Didone, e dopo aver celebrato i giochi funebri in onore del padre Anchise, si recò a Cuma e si apprestò a chiedere alla Sibilla ciò che gli dei ancora
gli riservavano. Ella, alla vista di Enea, cominciò ad invocare il dio Apollo che entrò nel suo corpo e parlava al suo posto, mentre la sibilla mutò il volto. Nel frattempo Enea pronunciò una preghiera attraverso la quale chiedeva che i Troiani trovassero rifugio sicuro nel Lazio e che la mala sorte non li accompagnasse, dato che avevano già combattuto a lungo contro gli Achei. Se questo gli fosse stato concesso, avrebbe costruito un nuovo tempio per il Dio Apollo e avrebbe istituito dei giorni festivi in suo onore. Alla Sibilla invece promise che avrebbe conservato i suoi oracoli nei libri chiamati sibillini.
E pregò di non affidare le sue profezie alle foglie, perché il vento se le sarebbe portate via. Chiedeva invece alla Sibilla di parlargli personalmente, ma ella non riusciva a scacciare la presenza del dio dal suo corpo. Il dio Apollo rispose che i Troiani non sarebbero mai voluti arrivare nel Lazio, poiché li attendevano numerosissime guerre. Enea poi avrebbe dovuto combattere contro un altro uomo forte come Achille, questi era Turno, re dei Rutuli.
La causa di tutto ciò sarebbe stata Lavinia, figlia del re Latino. Ella era stata promessa sposa sia ad Enea sia a Turno.
La lunghezza dell’antro della Sibilla è di
circa 135 m., molto probabilmente questo scavo
fu effettuato dai primi abitanti della zona, gli Osci, a forma di parallelepipedo per la base
e una parte superiore a sezione trapezoidale.
Lungo la parete destra si aprono sei finestre anch'esse a forma di trapezio. Alla fine dell’antro arriviamo alla stanza degli oracoli. Si compone di tre vani disposti a formare, rispetto al corridoio principale, i bracci e la parte superiore di una croce latina. La figura della Sibilla, pur essendone stata verificata l'esistenza in epoca storica, rimane, ancora oggi, misteriosa ed affascinante. Molto probabilmente si trattava di donne epilettiche, infatti questa malattia veniva detta "morbo sacro" e coloro che ne erano affetti erano temuti e rispettati. Narra la leggenda che il dio Apollo si fosse innamorato di lei e le avesse offerto di realizzare qualunque desiderio; lei domandò allora di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva stringere nel pugno, e così diventò tanto vecchia che non si volle mai più far vedere in pubblico. In realtà le Sibille dovevano essere più di una così che i pellegrini avrebbero creduto alla
prodigiosa longevità della Sibilla Cumana per generazioni e generazioni. Gli oracoli erano assolutamente incomprensibili forse perchè il linguaggio dei locali era sconosciuto sia ai greci che ai romani.
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Capri vista da Via Partenope
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La Sirena Partenope
Napoli (NA)
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La sirena Partenope, non essendo riuscita a farsi amare da Ulisse poiché insensibile questi al fascino del suo canto, decise di gettarsi nei mari del Mediterraneo annegando nel Golfo della città partenopea. Dalla ninfa, infatti, prese nome di Partenope l'antico villaggio che in futuro sarebbe diventato Napoli, chiamata poi appunto Neapolis dai coloni attici che la rifondarono dopo che i Cumani, gelosi della sua cresciuta potenza, la distrussero.
Dalla collina di Posillipo, che in lingua greca ha il significato di “cessazione del dolore”, si intravede, nell’isola di Capri, il profilo del viso di Partenope la quale riposa, appunto, senza più sofferenza.
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Le origini di Amalfi
Amalfi (SA)
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La leggenda narra che ai tempi dell'imperatore Costantino un gruppo di famiglie romane, volendo lasciare Ravenna e trasferirsi a Costantinopoli, furono sorprese da una violenta tempesta e costrette a rifugiarsi sulle coste della Dalmazia. Interpretato l'accaduto come cattivo auspicio, cambiarono rotta e si diressero nel Tirreno dove fondarono un villaggio vicino Palinuro, chiamato Melphe. Da qui continuarono ad esplorare i posti vicini e scoprirono un luogo ben protetto e ricco d'acqua, dove decisero di stabilire una colonia: il posto della gente venuta da Melphe, in latino "A Melphe", la futura Amalfi.
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I Gigli di Nola
Nola (NA)
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Le origini della Festa dei Gigli si ritrovano in un racconto di Papa Gregorio Magno. Nel 410 d.C. i Goti di Alarico arrivano a Nola dopo aver già saccheggiato Roma. Depredano la città e deportano in Africa i migliori giovani per farne schiavi. Il Vescovo Paolino, nominato proprio l'anno precedente alla Cattedra Episcopale nolana, decide di offrire se stesso e i beni della sua chiesa in cambio dei nolani rapiti. Naturalmente fu subito accettata la proposta, ma oltre che deportare in Africa Paolino, non desistettero a farlo con tutti gli altri. Già distrutta e derubata, la città fu, dunque, anche beffata e privata del suo amato protettore e la popolazione calata nel più profondo sconforto. Ma Paolino era persona di grandi doti: giunto in Africa come schiavo, stupì i suoi rapitori con le sue azioni, allo stesso tempo, umane e miracolose: protettivo nei confronti degli altri deportati, umile nei confronti dei tiranni, ebbe il dono di portare ovunque pace e serenità e di trasformare in terreno fertilissimo l'arido deserto. I suoi rapitori, riconosciuta la grandezza del personaggio, decisero di liberarlo con tutti i suoi compagni e di riaccompagnarli in patria con grandi onoreficenze. L'intera popolazione accorse in massa sulle coste ad accogliere la nave del Vescovo, organizzando un enorme corteo in cui ognuno portava quel poco che gli era rimasto, in segno di gioia e ringraziamento: i frutti del proprio lavoro, gli stessi attrezzi usati per produrlo ma soprattutto fiori e ceri accesi (cilii, in dialetto, da qui l'origine del nome gigli). Da quel momento, ogni anno il ritorno del Vescovo fu rievocato con grandi festeggiamenti durante i quali la barca di Paolino veniva accolta in un grande corteo in cui sfilavano ceri e torce sempre più grandi, fino a trasformarsi, nei secoli, nella Festa dei Gigli che oggi conosciamo.
: www.giglidinola.tv
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