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Pecorino dei Monti Sibillini
Zona Tipica: Monti Sibillini (AP, FM e MC)

La tecnica di caseificazione è quella classica del pecorino di montagna: al latte appena munto si aggiunge caglio di agnello o capretto. Una pratica antichissima e quasi scomparsa prevede inoltre l'aromatizzazione del latte prima della cagliatura con un mazzetto di erbe aromatiche (timo serpillo). Dopo la rottura della cagliata in grani molto fini, si procede a una semicottura e alla pressatura a mano della pasta nelle fascere. Quindi inizia la stagionatura: in un primo periodo il pecorino è frequentemente lavato con siero tiepido. Poi deve essere collocato in cantine fresche dove può affinare anche fino a due anni. Ben stagionato ha una fragranza e un'aromaticità straordinarie.



I.G.P.
Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale
Zona Tipica: Dorsale appenninica del Centro-Italia.

La carne di Vitellone Bianco dell'Appennino Centrale è prodotta da bovini, maschi e femmine, di pura razza Chianina, Marchigiana, Romagnola, di età compresa tra i 12 e i 24 mesi.


Ciavuscolo dei Sibillini
Zona Tipica: Monti Sibillini (AP, FM e MC)

Salame da spalmare (detto anche ciauscolo e ciabuscolo) tipico delle marche. La ricetta tradizionale prevede di confezionarlo con carni tratte dalla pancetta, dalle costate e dalla spalla e di aggiungere una consistente percentuale di lardo (circa il 50% del totale, ma ci sono varianti molto più magre). Gli ingredienti conditi con sale, pepe, aglio finocchio, buccia di arancia grattugiata, vanno sminuzzati finemente e tritati, in modo da ottenere una pasta molto fine e omogenea. Il ciavuscolo asciuga appeso e si affumica leggermente, per passare poi in un luogo fresco e asciutto. Si consuma entro i 15, 20 giorni successivi alla preparazione, spalmato su fette di pane toscano. Ne esistono più versioni,: in particolare il ciavuscolo dell'Ascolano è un po' più magro e compatto, mentre quello del Maceratese è un po' più morbido e grasso.


Mele rosa dei Monti Sibillini
Zona Tipica: Monti Sibillini (AP, FM e MC)

Da sempre sui Monti Sibillini, tra i 400 e i 900 metri di altitudine. Sono piccoline, irregolari, leggermente schiacciate e con un peduncolo cortissimo. Il colore è verdognolo con sfumature che vanno dal rosa al rosso violaceo. La polpa è acidula e zuccherina, il profumo intenso e aromatico. Insomma sono buone ma poco appariscenti e non riescono a competere con le mele moderne presenti sul mercato: più grandi, regolari e dai colori brillanti. Proprio per questo la loro coltivazione è stata quasi completamente abbandonata: è sopravvissuto qualche vecchissimo albero sparso e soltanto da qualche anno sono tornate in coltura, ma le quantità prodotte sono sempre irrisorie. Un tempo, al contrario, erano preziose e ricercate soprattutto per la loro serbevolezza: raccolte nella prima decade di ottobre, infatti, si conservano perfettamente fino ad aprile. Anzi diventano più buone, perché la polpa, soda e compatta, con il tempo si ammorbidisce.


Oliva tenera ascolana
Zona Tipica: Provincia di Ascoli Piceno e le colline tra i fiumi Tronto e Vomano della provincia di Teramo

Si distinguono soprattutto per la tenerezza e perché sono grandi, ovali e ricche di polpa, per la buccia sottile, il colore verde paglierino e, ancora, la dolcezza del sapore. Coltivate in una ristretta area di terreni calcarei che supera di poco i cento ettari e che non riesce a soddisfare le richieste del mercato. Mercato che, per altro, esiste da poco: soltanto vent'anni fa nessuno conosceva e comprava la Tenera Ascolana e il suo consumo era esclusivamente familiare. E sono proprio le famiglie ad aver salvato una delle olive da tavola più buone del Mediterraneo assieme alle ricette per conservarla e per cucinarla. Il metodo di conservazione più diffuso è la classica salamoia, ma l'oliva Tenera più celebre è quella farcita e fritta, un piatto di grande raffinatezza e di probabile origine ricca e borghese.


Ramai di Force
Zona Tipica: Force (AP)

La loro apprezzata mercanzia comprende attrezzi agricoli: pompe irroratrici, solfatrici, schiumarole e in particolare caldai per il vino cotto. Oppure oggetti destinati a soddisfare le esigenze del quotidiano domestico: caldai, cuccume, conche (graziose anfore aperte, usate per il trasporto dell’acqua potabile e oggi ricercate per farne preziosi portaombrelli), scaldaletti, paioli.

Molti oggetti vengono lavorati a sbalzo e sono destinati all’abbellimento degli interni. Il ciclo del rame è dunque completo, dalla materia prima, quasi sempre costituita da ritagli e rottami, alla fusione, fino all’oggetto finito che si può ammirare e acquistare in loco pronto per l’uso.

Vicino Force, a formare una sorta di piccolo comprensorio del rame battuto, si trova Comunanza; i luoghi del rame di questa cittadina sono ancora pieni di fascino: dal vecchio mulino sulle sponde dell’Aso, ai locali della vecchia fonderia sostituita da una nuova che presenta, in ordinata successione, tre magli, la carbonaia e la legnaia e rispecchia intatta, nel suo lavoro, tutta l’esperienza accumulata dalle passate generazioni. A Comunanza, oltre alla produzione e alla fusione delle “cave” (rame grezzo in forme concave) viene effettuata oggi anche la lavorazione e la vendita diretta di vari oggetti, soprattutto caldai e oggettistica ornamentale.







Monumento alle Merlettaie
Opera del 1983 di M Aldo Sergiacomi nato a Offida nel 1912
Merletto a Tombolo Offidano
Zona Tipica: Offida (AP)

L’arte del merletto a tombolo costituisce una tradizione tipicamente femminile che si fa risalire al 1400 allorché iniziò a diffondersi presso i ceti popolari per poi passare (sec. XVII) alle comunità religiose ed alle famiglie aristocratiche. in particolare fu ad opera delle suore benedetti-ne, giunte ad 0ff da nel 1655, (vedere notizie Monastero di S. Marco) che la pratica del merletto acquistò il carattere di massa.
Il seicento offidano rappresentò sotto questo punto di vista il secolo caratterizzato da una produzione artigianale considerevole: dalle tovaglie di altare ai manti, dalle gorgiere principesche ai camici prelatizi.
Una lettera della comunità locale, datata 1728 e indirizzata al papa Benedetto XIII (1694-1730) per invocare la proibizione dell’importazione dei merletti nello Stato Ecclesiastico, testimonia la consistenza della produzione dei merletti.
A tale riguardo si segnala l’operato di Maria Carlini Sieber (1762-1833) che, vedova di un violinista cecoslovacco, si dedicò all’insegnamento dell’arte del merletto.
Merletti dunque per la casa e per la chiesa ma successivamente «come utile contributo alle entrate familiari».
Caso unico nell’artigianato femminile dell’italia centro-meridionale, è stata, nel 1979, la costituzione della Cooperativa Artigiana Merlettaie (CO. AR. ME.), con lo scopo di produrre e vendere direttamente i lavori eseguiti secondo l’antica tradizione offidana.
I lavori del merletto e dei pizzi a tombolo più usati sono: il «punto rinascimento (sette coppie di fuselli soltanto), tutti arabeschi di stradelline unite da travette con la “rete” esagonale a nido d’ape; il “punto Venezia” (9-10 coppie di fuselli), arricchito da «riccioli» simili al motivo etrusco dell’onda e della viola in varie forme di fiore; infine, il preziosissimo “pizzo antico”.



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