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Le salighe
Le salighe
Altipiano di Verano (BZ)

Sull'Alpe di Verano, là dove il magro pascolo già dirada il suo verde e le scarse zolle erbose si ornano di qualche solitaria stella alpina, vivevano, una volta, le Salighe.
Erano, le Salighe, fanciulle misteriose che abitavano tra rocce e dirupi, entro grotte tappezzate di muschio e di borraccina.
La montagna era il loro regno.
Salighe, quale strano nome! I vecchi montanari del luogo le chiamavano anche Salighe Fräulein, Salighe Dirnen, ma chi fossero, donde venissero, nessuno lo seppe mai.
Amavano, le Salighe, la serena solitudine, i vasti silenzi dell'Alpe e solo di rado esse lasciavano le loro pietrose dimore per scendere fino all'abitato.
Erano gentili, affabili, le solitarie fate della montagna, e i montanari le trattavano con grande rispetto e le accoglievano volentieri nelle loro case. E dove esse entravano, entrava la benedizione, il benessere, giacchè le Salighe sapevano ricambiare assai generosamente il dono dell'ospitalità.
Così, una di esse, una volta, donò ad una povera donna un pane che non si consumava mai, ed un'altra regalò ad una sua protetta un gomitolo prodigioso, del quale non si vedeva mai la fine.
Erano davvero generose, le Salighe, ma guai ad indispettirle; si vendicavano, e come!
State a sentire. Viveva a Verano un contadino molto ricco, che aveva il più bel maso del paese, una stalla piena di mucche e campagna in quantità.
Le sue terre erano le più belle dell'altipiano, rispettate dal gelo, dalla grandine, dalla siccità, bagnate dalla pioggia a tempo giusto ed in buona misura: una terra benedetta.
Bisognava vedere al tempo del raccolto! Staia e staia di grano, d'orzo, di segale si accumulavano nel capace granaio, mentre il fienile a stento poteva contenere le carrate di fieno che giungevano, odorose di timo e di menta, dai prati vicini e lontani.
Ma questo non è tutto: sacchi e sacchi di bei talleri d'argento egli possedeva. Un vero tesoro! E il tesoro aumentava, cresceva, perché gli affari del fortunato contadino del maso Egger andavano, come si suol dire, a gonfie vele.
Spesso venivano al maso due Salighe. Erano giovani, bionde, leggiadre; con la loro grazia, con il loro bel fare, si erano conquistate ben presto la simpatia della numerosa famiglia del contadino. La padrona, poi, le considerava la benedizione della casa, tanto era il bene ch'esse vi avevano portato.
Alla sera, finiti i lavori, le due giovani Salighe si ritiravano in un canto in un canto della «Stube» ed aspettavano che la serva tornasse dalla stalla col latte appena munto. Di latte fresco erano ghiotte le fanciulle e, avide, appressavano le labbra al secchio, bevendo gelosamente il latte ancora tiepido e schiumoso.
Una sera, come il solito, finiti i lavori, le due Salighe entrarono nella «Stube». La serva stava scremando il latte e versava la panna nella zangola. Svelte, le due giovinette, portarono alla bocca il recipiente e … glu, glu, glu, presero a sorbire a lunghe sorsate la panna dolce e densa. Com'era buona! Sapeva di tutti gli aromi, di tutti i profumi della montagna. Ancora un sorso, un sorso solo; sembrava che non sapessero più staccarsi dalla zangola, le due ghiottoncelle.
D'un tratto sollevarono il capo: sulla soglia, scuro in viso, era apparso il contadino. Di colpo le due fanciulle lasciarono la zangora e strettero mute, con gli occhi fissi a terra, non osando sostenere lo sguardo irato del contadino.
«Tutta quella panna, tutta quella panna - dicevano quegli occhi minacciosi - è troppo! Me la pagherete».
D'improvviso l'uomo divenne torvo, trasse di tasca un coltello e fece l'atto di scagliarsi sulle inermi creature.
Un grido di terrore risuonò nella stanza; per buona sorte il colpo fallì e le due poverine, guadagnata la porta, fuggirono lontane, nella notte.
Passò del tempo; al maso Egger qualcosa non andava. Si lavorava come prima, forse più di prima, ma la terra non rendeva più come una volta. Un anno la siccità bruciava il foraggio, un anno la grandine distruggeva il raccolto o la moria decimava il bestiame; non passava stagione che non si dovesse lamentare qualche danno.
Gli affari andavano di male in peggio e il mucchio dei bei talleri d'argento scemava, scemava… Tutto andava male al maso Egger.
Un po’ alla volta il contadino perdette tutti i suoi beni e si ridusse povero, povero, a vivere d'elemosina.
Della primitiva ricchezza non gli rimase che il ricordo, uno struggente ed amaro ricordo che divenne, col tempo, unico compagno della sua triste e stentata esistenza.


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