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La Balla di Burro
La Balla di Burro
Avigna - San Genesio (BZ)

Appollaiato lassù, in cima al pendio, il maso di Kati aveva tutta l'aria di una di quelle casette piccine, piccine, che si vedono nei presepi, bianche e ridenti tra il verde.
Veramente piccolo era il maso, ma pulito e lindo come uno specchio. Accanto alla casa, come d'uso, stava la stalla che ospitava due brune vascherelle; sopra la stalla il fienile con il vecchio tetto di paglia. Dappertutto ordine e pulizia, chè la contadina, in questo campo, non la cedeva a nessuno.
Ne erano passati degli anni da quando kati, con la sua bella corona di trecce nere, il viso roseo e fresco, era divenuta la padrona del maso! Le trecce un po’ alla volta s'eran fatte bianche, il viso era tutto un ricamo di rughe, ma Kati era sempre la Kati, svelta, ancora dritta nella persona alacre, lavoratrice infaticabile. Sempre in moto, dalla mattina alla sera, dalla cucina alla stalla, dalla stalla al pollaio, al fienile, ella arrivava dappertutto.
Accorta, forse di più, astuta, la vecchia kati era assai esperta negli affari e nel piccolo maso regnava un certo benessere. Ella pensava a tutto, provvedeva a tutto e i figli, naturalmente, non chiedevano di meglio.
In un paese c'era chi parlava male della Kati, per invidia si capisce. Si diceva che fosse terribilmente attaccata al denaro, si diceva…
Due volte all'anno Kati mandava a chiamare il sarto di Chiusa, perché venisse a rassettarle il guardaroba: vestiti del marito e dei figli. Il sarto vi andava volentieri e con sollecitudine; Kati lo trattava bene e non tirava sulla spesa.
La «Stube» all'arrivo del sarto si trasformava in un vero laboratorio; vecchie giacche, pantaloni si ammonticchiavano davanti al sarto che osservava, sceglieva, tagliava e cuciva, operando con le sue abili mani vere e proprie trasformazioni.
L'ago correva; il vecchio orologio a cucù accompagnava col ticchiettio del suo pendolo il tempo che rapido trascorreva nell'alacre lavoro.
Nell'angolo della «Stube» Kati, volgendo le spalle al sarto, batteva la panna nella zangola. Il lavoro l'assorbiva tutta. Stava curva sull'arnese e batteva, batteva, bisbigliando a fior di labbra parole, frasi misteriose.
Se ne accorse il sarto e una volta, incuriosito, tese l'orecchio. Fu allora che udì Kati pronunciare la strana frase:«Siamo trenta, siamo trenta…» Caspita! Che poteva significare un'espressione del genere?
Intanto Kati, finito il suo lavoro scodellava in un recipiente una bella balla di burro, che così ad occhio e croce poteva pesare senz'altro non meno di 30 libbre. Le mucche era due e come, allora, un prodotto così abbondante?
Evidentemente i conti non tornavano. Non tornavano, no, ma spiegavano chiaramente come nel maso si potesse vivere con una certa larghezza.
Interrogativi, congetture si accavallano, si sgrovigliavano nella mente semplice dell'uomo, lasciando sempre, però, più dubbioso e perplesso.
Ma il sarto non era tonto e, da quel momento, si ripromise di tenere gli occhi bene aperti per vedere come sarebbe andata a finire la curiosa faccenda.
Si finse immerso del lavoro, ma di sotto alle folte sopracciglia l'occhio si muoveva rapidissimo nel seguire ogni atteggiamento, ogni mossa della contadina.
Anche quella mattina, come il solito, la vecchia Kati si mise a fare il burro. Sicura del fatto suo, l'astuta contadina versò il latte nella zangola e si accinse a batterlo, ma prima…ciac, fece scivolare rapidamente nel liquido una minuscola borsetta di cuoio. Per qualche istante il sarto rimase coll'ago in aria, trasecolato. Intanto Kati, tutta intenta al suo lavoro, batte, batte batte biascicando le parole di rito.«Siamo trenta, siamo trenta…». E, a lavoro ultimato, ecco le solite trenta belle libbre di burro.
Il sarto non ebbe che un desiderio: impadronirsi della borsetta che la contadina, approntato il burro, aveva messo ad asciugare sulla monumentale stufa della «Stube».
«Qui c'era senza dubbio un gioco di magia» si diceva il sarto e non riusciva a distogliere gli occhi dalla borsetta misteriosa. Cento maliziosi diavoletti gli mettevano in subbuglio la povera testa. «Comoda quella borsetta, non ti pare?» sussurrava uno. «Potresti provare anche tu!» soggiungeva un secondo. E un terzo suggeriva: «Il giochetto non è poi tanto difficile!».
Fu così che, quando Kati uscì dalla «Stube», egli s'impadronì della borsetta e, cogliendo un pretesto qualsiasi, chiese alla donna di poter tornarsene a casa, per quel giorno. Lo bruciava la curiosità di tentare la prova quanto prima.
Arrivò davanti alla sua casa ansante e trafelato, salì i gradini a quattro, a quattro, si chiuse in cucina.
Subito versò il latte nella zangola e nel latte gettò la borsetta, poi, pronunciando le parole che già conosceva, cominciò a battere… e batti che ti batti, alla fine ebbe anche lui le sue belle trenta libbre di burro. L'uomo non stava più in sé dalla gioia e dalla meraviglia; il gioco era riuscito. D'ora in poi avrebbe saputo approfittarne!
Ripostò il burro in dispensa, il sarto s'accingeva ad uscire per tornare al maso, quando si udì bussare lievemente alla porta. All'invito d'entrare, si fece avanti un uomo dall'aspetto piuttosto dimesso, dallo sguardo punto rassicurante.
«Buon giorno» disse l'uomo girando attorno lo sguardo, «avete fatto del buon burro, oggi, compare?». E, senza attendere risposta, con fare insinuante e prepotente insieme, egli s'avvicinò al sarto. «Bene - disse lo sconosciuto - se volete continuare, firmate questo foglio».
Il sarto, titubante, prese il foglio, scorse con l'occhio l'elenco dei nomi che v'erano scritti. Trasalì: tra questi figurava anche quello di Kati. Tonto non era il nostro uomo e quel nome lì, su quel foglio lo mise in sospetto. Non esitò un attimo; restituì all'uomo il foglio senza firmarlo, non solo, ma si affrettò a fargli scivolare fra le mani (che mani adunche!) anche la borsetta di Kati! Via, via tutto: non voleva aver niente a che fare con quel poco raccomandabile messere.
L'uomo si fece scuro in viso ed uscì senza salutare. Il sarto chiuse rapidamente l'uscio, fece scorrere il chiavistello e, accostato l'occhio alla serratura, seguì finchè potè i passi dell'uomo che si allontanava, urlando e bestemmiando orrendamente. Se n'era andato. Il sarto, rassicurato, prese a pensare ai casi suoi ed immagino, che da quel giorno, non abbia più avuto né coraggio né voglia di salire al maso di Kati per i consueti lavori d'ago.


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