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Miti & Leggende
 
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     DATI TERRITORIO     TIRES  BZ 
 Regione: Trentino A. A.   Provincia: Bolzano 
 Altre Lingue: Tedesco   Toponimo: Tiers 
 Popolazione: 884   Altitudine: 1028 metri slm  Zona Climatica: F
  Latitudine: 46° 28' 02" N    Longitudine: 11° 31' 35" E 
 
     MITI & LEGGENDE     TIRES  BZ 
Il Mago di Tires
Il Mago di Tires
Tires (BZ)

Il paesino di Tires, una delle innumerevoli perle disseminate nelle valli altoatesine, sorge in una splendida posizione, ai piedi del Catinaccio, la superba mole dolomitica irta di punte aguzze protese verso l'alto, quasi a sfiorare il cielo: un maestroso groviglio di cime, quasi una invalicabile muraglia eretta da Dio, a difesa di quel tranquillo angolo di paradiso.
Tutt'intorno, estesissimi boschi di un verde scuro intenso, che appare ancora più cupo al confronto col luminoso rosseggiare di quella massiccia catena montagnosa, che raccogliendo gli ultimi bagliori del tramonto, sembra voglia ritardare di qualche attimo l'orrore della notte.
Il turista che ammira estatico quello stupendo scenario, immagina che gli abitanti di quell'umile paesello siano prediletti della Provvidenza, che ha concesso loro tanta profusione di sovrumana bellezza.
Come stampato sul chiarore della massa dolomitica, cupo, accigliato, quasi ferito nel suo orgoglio per vedersi di tanto superato dalle ispide punte delle torri del Vaiolet, spicca lassù il Monte Nigra con il suo rifugio. S'arrampica, serpeggiando su per il suo dosso, nascosto dal lussureggiante rigoglio degli abeti, la moderna strada detta «dei russi».
Ogni cosa, d'intorno, emana un vago sentore di leggenda.
Ai piedi di Tires, scorre impaziente il rio Briè, che col suo sordo, eterno brontolio, pare voglia narrare una sua strana leggenda, ripetuta dalla misteriosa eco celata in un angolo remoto della valle: una voce flebile, che va spengendosi come in un soffio, mescolandosi al fruscio degli abeti, carichi di anni e di ricordi.
Viveva un tempo lontano a Tires un malvagio stregone.
Un'alta cintura di un rosso scarlatto, tempestata di puntini bianchi simili a piccole stelle, che gli conferiva una forza equivalente a quella di dodici uomini, cingeva i suoi fianchi.
Era stato questo un dono di uno dei dodici spiriti, che nella notte dell'Epifania usavano cavalcare cavalli di fuoco, e il Catinaccio, per il riverbero, appariva esso stesso di fuoco.
Lo stregone di Tires non amava nessuno e gioiva dei mali altrui. Egli sapeva comandare a tutti gli elementi della natura e se ne serviva per sfogare la sua cattiveria contro gli abitanti, che avevano la mala ventura di dimorare nella stessa valle. Quando, infatti, i raccolti erano prossimi, egli, con la sua perfida arte, li distruggeva, rendendo vane le fatiche dei contadini. Di fronte al fantasma minaccioso della fame, che sempre più si approssimava, gli uomini di Tires decisero di sopprimere il crudele stregone. Ma ognuno di essi pensava con terrore a quella cintura e comprendeva che la prima cosa da fare era di strapparla al mago. Anche i dodici uomini più forti della valle non avrebbero potuto, infatti, comprendere con lui, finchè essa fosse stata in suo possesso. La disperazione diede loro il coraggio per l'ardua impresa: e si misero alla caccia dell'uomo funesto.
Lo scoprirono a Nova Levante e con decisione lo assalirono. Lo stregone, sicuro della propria forza e sempre fidato nel terrore che la sua presenza incuteva a tutti, non si aspettava quell'attacco improvviso: e la sorpresa lo predette.
Uno dei contadini lo ghermì vigorosamente per la lunga barba e prima che essi potesse riaversi, gli altri gli strapparono la cintura. Inutile fu allora ogni suo tentativo di difesa, ogni suo grido di minaccia; la sua forza se n'era andata con la cintura ed egli non era rimasto che un debole vecchio facilmente riducibile all'impotenza. Trascinato davanti a un tribunale, fu condannato al rogo.
Tutta la valle potè in seguito vivere tranquillamente: e da quel giorno il ruscello mormora ai passanti la sua leggenda: la raccoglie e la ripete l'eco recondita ma nessuno la intende.


I legnetti diventano topolini
I legnetti diventano topolini
Tires (BZ)

Il sole lambisce appena le ardite creste del Catinaccio là sopra Tires e più cupa appare l'ombra che riempie le forre e le anfattuosità dei monti. Nei masi sparsi lungo i declivi riprende la vita, inizia un nuovo giorno.
Berta, con la gerla in spalla, esce dal maso in cui si trova a servizio e a passo lesto, cantarellando, s'avvia verso il bosco della «Fossa del lupo», non molto distante da Nova Levante.
I prati brillano argentati dalla rugiada e lungo il sentiero le rose di macchia aprono timidamente le loro rosee corolle.
Il sentiero si fa via via più ripido, ma il bosco è vicino. Si ripercuotono nell'aria i colpi misurati e sicuri delle asce dei taglialegna al lavoro. Berta s'inoltra nel bosco e, sotto i suoi pesanti zoccoli, scricchiolano le secche foglioline aghiformi degli abeti. In una breve e chiusa radura giacciono gli alberi abbattuti, come giganti possenti caduti dopo un'epica lotta.
Martin, un giovane servo ne stacca i rami con ben assestati colpi di scure, mettendo in luce i tronchi poderosi.
«Buon giorno, Berta, - saluta allegramente il giovane, appoggiandosi con ambedue le mani al manico della scure - oggi c'è lavoro per tutti!».
Berta risponde al saluto e depone la gerla. Qua e là s'ammonticchiano i rami frondosi, ancor vivi quasi, col loro bel verde lucido e tante, tante piccole schegge sono sparse all'intorno, chiare ed umide di resina.
Ella dovrà raccoglierle tutte, perché il padrone, ricco, ma parsimonioso, vuole che nulla dei suoi alberi vada perduto; i tronchi alla segheria, perché si trasformino in solide tavole; i rami e le schegge al camino, per dare calore ed allegria nelle fredde giornate invernali.
Chinata a terra, Berta raccoglie in rapide ed abbondanti manciate quei minuscoli legnetti e li riversa nella capace gerla. Lavoro noioso e monotono, ma Berta sembra non se n'avveda.
Giungono a le voci note e familiari del bosco. Una cingallegra lancia nell'aria il suo canoro richiamo, mentre da un pino uno scoiattolo squittisce nell'ebrezza delle sue aeree acrobazie. Come sono felici queste piccole creature del bosco!
Berta interrompe, per un attimo, il suo lavoro per porgere orecchio alla voce multiforme e sempre varia della foresta. Meno dura le sembra, ora, la sua fatica, meno pesante la stanchezza. Anche Martin abbandona la scure e sosta in silenzio. Con mosse lente estrae di tasca l'inseparabile pipa e l'accende. Un furbo sorriso gli fa socchiudere i piccoli occhi scuri. Quale idea bizzarra gli è nata in quel testone irsuto?
«Berta, che ne diresti, se tutte queste schegge fossero topolini? Correrebbero da sole in cucina e tu faresti meno fatica!» esclama Martin, tra il serio e lo scherzoso.
La ragazza risponde con un'allegra risata, poi, abbassando la voce sussurra: «Non dirlo due volte… Aspetta».Si guarda attorno, poi, a fior di labbra, mormora delle parole misteriose.
Subito quei legnetti bianchi si trasformano in tanti, tanti vispi topolini grigi. Fr…fr.. sgusciano via, precipitano giù per il pendio. E con le schegge anche i rami, i ramoscelli si trasformano in topolini; è tutto un correre, uno sfrecciare argenteo sul verde vivido dell'erba.
Entrano rapidi in cucina con un fruscio leggero di zampine e…zac, nella cassa della legna. In breve questa ne è piena; piena di topolini? No! Di tanti tanti legnetti bianchi, profumati di resina e di bosco.
E Berta? Berta tace. Dai suoi occhi birichini filtra un sottile sorriso di trionfo. E Martin? Martin è là, con la bocca semiaperta, il cappello buttato all'indietro sui capelli ispidi, le gambe divaricate, ammutolito. Guarda, guarda quel mareggiare di dorsi grigi, di musetti grigi, di codini grigi che si agitano e scompaiono davanti a lui e di tanto in tanto si passa le grosse mani sugli occhi, credendo di sognare.
Ripetè ancora Berta quel magico gioco? Non si sa. Da quel giorno i servi e le serve che si recano a tagliare legna nei boschi di Tires, ricordano l'allegra leggenda dei topolini e cercano di rapire al vento, che conosce i misteriosi segreti della foresta, le magiche parole che l'accorta Berta seppe sussurrare in quel giorno lontano.


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