|
|
MITI & LEGGENDE
|
VAL PUSTERIA
|
BZ
|
|
|
Le Genti Misteriose
Val Pusteria (BZ)
|
Un tempo assai lontano, sui monti di Onies, che cupi e selvosi s'innalsano verso il «Vallo delle Gane», viveva una stirpe di uomini misteriosi. Chi fossero, donde venissero, non è scritto neppure nei libri più antichi e, invano, cercherebbe il curioso che volesse saperlo. Abitavano, costoro, in tetre caverne rocciose, in luoghi solitari, sdegnosi d'incontrarsi con altri uomini. Gente selvatica era quella. Alti e robusti come querce erano gli uomini, e adusi a tutte le intemperie. Con ogni tempo, in ogni stagione, uscivano a caccia per boschi e foreste: del bosco, della foresta, essi conoscevano tutti gli agguati e non temevano né il lupo, né l'orso, ch'essi affrontavano armati d'ascia, d'arco e di frecce. Le donne erano timide e silenziose; custodivano il fuoco, arrostivano la cacciagione, crescevano con grande amore i figli come fanno tutte le mamme del mondo. Ma non sempre quegli uomini solitari, duri, scontrosi, erano sordi alla voce degli altri uomini, dei fratelli che abitavano nei casolari sparsi sui declivi e nella valle. Nel bisogno, nella necessità accorrevano, si prodigavano con generosità e premura. Ma guai se qualche malintenzionato avesse osato recar loro offesa: la loro vendetta era certa e crudele. Non di rado le fanciulle di quella strana stirpe lasciavano le loro fredde caverne per mettersi a servizio in qualche famiglia di contadini. Che cosa le attirava al piano? Forse il calore di una casa - una vera casa - ospitale ed accogliente, o i modi umani, cordiali della gente? Forse l'uno e l'altro, e le famiglie di Onies accoglievano volentieri le timide fanciulle che venivano dal «Vallo delle Gane». Esse, infatti, solerti e laboriose, accudivano con ogni diligenza ai lavori in casa, nei campi, nella stalla. Ma pur vivendo tra gente amica, esse si mantenevano schive, né gradivano d'essere interrogate su cose o fatti riguardanti la loro vita, la loro famiglia. Strane creature! Come un triste retaggio, esse portavano con sé, nei modi e nell'anima, quella scontrosità, quella selvatichezza, che neppure la vita serena e la familiarità, con gente buona e di cuore, riusciva a vincere. Così infatti erano gli abitanti delle caverne, perpetuamente corrucciati, dannati ad una vita squallida, arida, senza gioia. E, poiché non conoscevano la gioia, odiavano tutto ciò che di bello, di buono possedevano gli altri uomini. E odiavano, i disgraziati, perfino la voce delle campane, l'armonia dell'onda sonora che unisce la terra al Cielo, l'uomo a Dio. E tale era il loro astio che, in ischerno, chiamavano bubboli da capre le piccole campane dalla voce argentina. Ma ciò non bastava, chè i sacrileghi davano spesso l'assalto ai campanili, rubavano le campane per poi sotterrarle in luoghi nascosti ed inaccessibili. Tempi oscuri erano quelli. Lentamente, faticosamente la parola di Cristo penetrava nelle nostre valli. Ma già i primi cristiani di Onies avevano costruito la loro chiesetta e dall'alto del bianco ed esile campanile una piccola bronzea campana spandeva intorno i suoi squilli chiamando i fedeli alla preghiera. L'udirono gli uomini misteriosi e ne provarono rabbia e dispetto. Di notte, quei tristi scesero dal monte e rapirono l'innocente campana andando a seppellirla su, su, ai piedi di uno scosceso dirupo, sotto un pesante cumulo di pietre. Troppo tardi se ne accorsero i Cristiani! La cercarono disperatamente al piano, al monte, invano; della campana nessuna traccia, nessun segno. Per molti, molti secoli, la piccola campana rimase lassù, muta e prigioniera del buio. Ma sta scritto che una campana benedetta non rimarrà per sempre prigioniera; presto o tardi verrà qualcuno a liberarla, o riportarla alla sua chiesa, al suo campanile. Un giorno, dunque, un pastorello (i misteriosi abitanti del «Vallo delle Gane» erano ormai scomparsi) salì con il gregge ai pascoli alti. Come il solito, lasciò che le pecore si mettessero a brucare, e si spinse su per un costone in cerca di pigne di mugo. Lassù i mughi erano folti e le pigne, coi dolci pinori, vi si dovevano trovare in abbondanza. E su, e su, d'un tratto il ragazzo sollevando gli occhi, vide qualcosa brillare ai piedi delle crode rocciose, dove un tempo avevano abitato le genti misteriose. Che poteva essere? «Forse un tesoro» si dice l'ignaro pastorello ed incuriosito, in men che non si dica, raggiunse il luogo da cui aveva visto venire il luccichio. Ma non c'erano che pietre, lassù, pietre bianche, grige, taglienti, levigate dalla pioggia e dalla neve. Per nulla scoraggiato, si dette a rovistare, a scavare fra il pietrame, con le mani, con le unghie, affannosamente, senza darsi respiro. Il tesoro - poiché, secondo il ragazzo, non poteva trattarsi che di tesoro - doveva essere nascosto là sotto. E scava e scava (erano tutte un taglio quelle povere mani!) finalmente apparve il tesoro. E che tesoro! Era la campana di Onies, la campana rapita. Com'era bella, così lucida e tersa! Il sole vi si specchiava in un'aureola di barbagli d'oro. E ancora intatta, era, senza una scalfitura, senza un'incrinatura, con il suo piccolo, tondo battaglio di bronzo, pronto a rimbalzare entro la concava cupola sonora. Che prodigio, dopo tanti e tanti anni! Troppo felice, il pastorello dimenticò in quel momento le sue pecorelle e corse, non corse, volò per balze e sentieri, fino in paese a portare la notizia del fortunato rinvenimento. Chi sa dire il giubilo dei Cristiani di Onies? In processione riportarono in paese la campana ed essa riprese il suo posto, là sull'esile campanile, che da troppo tempo, ormai, attendeva orfano e solo. Ancora oggi, la fida campana, librata lassù nell'azzurro, chiama i fedeli, canta nella gioia, implora nel dolore. Sull'onda viva dei suoi rintocchi, le preghiere degli uomini raggiungono sicure le vie del Cielo
|
|
|
|
|
|
|
La caverna stregata
Val Pusteria (BZ)
|
La caverna s'apriva in una località imprecisata, fra Brunico e San Giorgio. Proprio sul posto un tempo occupato dalla sua entrata, sorge ora una piccola cappella dedicata alla Vergine. Qui il viandante si scopre reverente il capo, qui le mamme insegnano ai loro piccini a balbettare le prime preghiere. Dalla piccola nicchia, fra mazzi di vaghi fiori campestri, sorride la dolce Madonnina e benedice. Ridente si stende attorno il paesaggio, con il verde smagliante dei suoi prati, entro la scura cornice dei boschi. Lontani i monti vestiti di grigio, d'azzurro, di viola, chiudono l'orizzonte. Bianche, tra il verde, le rustiche casette con le finestre e i balconi traboccanti di gerani sembrano partecipare con la loro grazia gentile e tanta armoniosa festa di colori. Ed era pur bello quel lontano giorno di maggio, quando marianna, una giovane contadina di San Giorgio, se ne tornava da Brunico con la piccola Gretl. La giornata era calda e già faceva presentire l'estate ormai prossima. Camminava adagio la donna, chè il primo caldo, il sole, la polvere della strada le davano stanchezza. Ma la strada era lunga ed ella doveva camminare ancora parecchio prima di giungere a casa. Perché non riposarsi un po’? Avrebbe ripreso dopo, con più lena il cammino. Così Marianna cercò un po’ d'ombra e si sedette sul ciglio della strada. Anche la piccola Gretl era stanca e con gioioso abbandono si gettò fra le braccia materne. Ma fu per poco, chè una bellissima farfalla dalle ali iridate attrasse la sua attenzione. Con grida festose la piccina prese a rincorrerla fin dentro alle alte erbe del prato. Gretl era felice: con le treccine al vento, le rosse manine protese, sembrava voler imprigionare l'incanto e la bellezza della primavera. Spiccava tra il verde, fiore tra i fiori, la piccina vestita d'azzurro; passava sfiorando leggera le candide margherite, i ranuncoli d'oro. La mamma la seguiva con l'occhio vigile, attenta. La piccina appariva e scompariva nel folto dell'erba. Ma perché ora non si scorgeva più l'azzurra vestina? La donna attese qualche minuto con la certezza di vedere apparire di nuovo la sua piccina. Guardò ancora in tutte le direzioni, la chiamò con il pianto nella voce, gridò, nulla … Della bambina nessun segno, nessuna risposta al disperato richiamo della madre. Con l'angoscia nel cuore, la mamma continuò le ricerche nei dintorni, esplorò ogni fosso, ogni siepe, ogni cespuglio, ma senza alcun risultato. Sola, chiusa nel suo dolore, Marianna tornò a casa e pensieri lugubri, tristi presentimenti l'accompagnavano. D'un tratto si ricordò della caverna: ne aveva udito parlare in paese. Si raccontava che dei bimbi, sorpresi lì presso a giocare, fossero scomparsi, inghiottiti entro quelle squallide pareti di roccia. Nessuno s'era mai avventurato a varcare la soglia della fosca spelonca, nessuno: il terrore dell'ignoto arrestava anche i più animosi. Che ci abitasse qualche perfida maga, qualche mostro crudele? Ma la mamma di Gretl nulla temeva: l'amore per la sua bambina l'animava d'un ardimento che non conosceva ostacoli. Non fece parola con alcuno e la notte seguente, sola, la donna coraggiosa raggiunse la caverna. Buio e silenzio. La donna accese una candela ed entrò. Il cuore le batteva forte da scoppiare. Percorse un lungo corridoio e si trovò all'inprovviso presso l'entrata di una bellissima sala sfolgorante di luci. Marianna spense la candela e cautamente avanzò di qualche passo. Bimbi e bimbe giocavano nella grande sala: frugoletti biondi e frugoletti bruni facevano il girotondo tenendosi per mano. Cantavano, ma il loro canto era triste, triste come il cinguettio di un uccellino prigioniero. Marianna ristette: guardava, scrutava ad uno ad uno quei visetti che, nel gioco, le comparivano davanti. Timore, speranza si alternavano nel suo cuore di mamma ogni qualvolta due treccine bionde e una vestina azzurra le volteggiavano presso. D'un tratto, come avvertita da un richiamo misterioso, Marianna sollevò gli occhi; là, in mezzo alla sala, seduta su di un trono di cristallo, una bellissima signora vestita di azzurro (forse una maga?) teneva sulle ginocchia la piccola Gretl e l'accarezzava. Marianna si sentì gelare il sangue nelle vene: ora capiva, capiva tutto. Qui, dunque si trovavano i bimbi misteriosamente scomparsi e ormai prigionieri della maga dal cuore di pietra. La donna si scosse dalla sua immobilità, avanzò ancora. Una forza superiore sosteneva, guidava i suoi passi. I bimbi sospesero per un attimo il gioco e stettero a guardare stupefatti la sconosciuta. All'improvviso, alto un grido risuonò sotto la volta della sala: «Mamma!». E la piccola Gretl, divincolandosi dalle braccia della signora, corse felice incontro alla sua mamma. Col suo tesoro stretto al cuore, Marianna rifece di corsa il cammino verso l'uscita, seguita da tutto il cinguettante stuolo dei piccoli prigionieri. Chi poteva, ormai, contrastarle il cammino verso la salvezza, verso la vita? Nessuno, chè nessun sortilegio può vincere il cuore di una mamma. Rotto l'incantesimo, la bella signora, la maga potente gettò un urlo selvaggio, orrendo: si spensero i lumi sfavillanti, tremò la terra e l'antro scomparve inghiottito in una profonda voragine. L'intrepido amore di una mamma aveva vinto, per sempre, l'oscuro maleficio.
|
|
|
|
|
|
|
|