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MITI & LEGGENDE
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VAL VENOSTA
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BZ
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I Topi di Glorenza
Val Venosta (BZ)
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Dorme Glorenza tutta chiusa entro la cerchia delle sue mura. Sull'alta torre un armigero con l'alabarda in pugno veglia sulla città. E' il custode della notte. Egli guarda le stelle ed annuncia ai pacifici cittadini il lento, ma inesorabile trascorrere del tempo. «Ore una … Buona notte, cittadini di Glorenza! Nessun pericolo in vista, buona notte!» E l'uomo riprende a fissare le misteriose ed irraggiungibili stelle, seminate a miriadi nei campi infiniti del firmamento. «Ore due… - annuncia il custode della notte, - buon riposo a voi, cittadini di Glorenza!». Ora egli sosta in ascolto e ripete con voce monotona: «Buona notte! Ore due..». Il vento ulula senza posa attorno alla torre antica. Ma questa non sarà una buona notte, no, di certo. Odi, un cittadino, che dormì sognando un mattino sereno? Viene dalla campagna uno scalpiccio leggero di mille zampette invisibili, un fruscio, mille fruscii tra l'erbe. Odi? Sono topi, decine, centinaia di topi campagnoli che, messi al bando della gente di Stelvio, si precipitano ora sulle sue terre. L'orda famelica incalza, avanza, protetta dal buio della notte: Eccoli, quanti! Grigi, neri, bruni, essi si riversano nei campi, nei prati, negli orti. Dove passano tutto distruggono. Sorge il mattino: una dolorosa, amara sorpresa attende i poveri contadini di Glorenza. Inebetiti, essi guardano con occhi persi quella rovina, quella devastazione. Tutti i mezzi più comuni, più noti vengono usati contro lo scaltro ed agguerrito nemico: veleni micidiali, trappole, ordigni infernali: tutto inutile. Ed intanto lo spettro della carestia si profila sinistro sulla città. La popolazione vive ore di angoscia. Le vie, le piccole piazze sono deserte. La gente tira via, tutta presa da cupi pensieri. A sera, nelle osterie, gli uomini si ritrovano, siedono gravi ai tavoli, parlano dei loro crucci e cercano insieme il modo di vincere il nemico che insidia i loro pochi beni. Vedi un po’ il caso! Giunse proprio in quei giorni a Glorenza un giovane forestiero, uno studente, forse, a volerlo giudicare dalla foggia delle vesti e dal caratteristico cappello a turba. Biondo, lungo, allampanato, si fece subito notare dalla gente che lo vedeva aggirarsi tutto il giorno per le vie, curioso, senza darlo a vedere, di tutto ciò che accadeva intorno a lui. Una sera entrò in un'osteria, ordinò da bere e si mise ad osservare gli uomini che discorrevano, seduti, attorno ad un tavolo. D'un tratto si alzò e mosse verso di loro. I contadini lo sogguardarono con malcerata diffidenza. «Amici - disse il giovane con fare cortese - permettete che mi sieda al vostro tavolo? Conosco i vostri guai e sono qui per aiutarvi, se volete». I volti magri e scuri degli uomini si protesero curiosi verso il forestiero. Rispose il più ansiano, il capoccia: «Grazie della tua premura, cortese straniero. Se potrai fare qualcosa per noi, te ne saremo ben grati. Parla». Tutti si fecero attenti ed il giovane prese a dire: «Ascoltate bene, uomini di Glorenza: io possiedo il segreto per liberarvi quanto prima dai topi che infestano le vostre campagne. Lasciate fare a me e vedrete…». I contadini si guardarono fra loro, incerti se credere o no alle parole del misterioso forestiero, poi l'anziano replicò: «Rimettiamo nelle tue mani la salvezza delle nostre terre. Quando chiedi per codesta tua prestazione?». Il giovane sorrise, quasi divertito.«Che cosa chiedo? Non molto, non molto: un po’ di bella, sonante moneta. Volete?». Dieci, venti mani nere, callose si tesero a stringere quella lunga e pallida del giovane: il patto era concluso. Il mattino dopo i contadini e lo studente si recarono dal Giudice della città e davanti a lui rinnovarono solennemente i reciproci impegni. Era, il Giudice di Glorenza, la massima autorità della valle ed esercitava la sua podestà non solo sugli uomini, ma anche sui topi, secondo un'antichissima tradizione. «Siate uomini d'onore - ammonì il vecchio magistrato - tenete fede alla parola data, ciscuno per la parte che gli spetta». E, guardando dritto negli occhi il giovane, continuò: «Non sappiamo chi tu sia, né donde venga, cortese straniero, ma abbiamo fiducia in te! Va! Affrettati a porre in atto i tuoi piani, prima che il danno sia irreparabile, e non avrai a pentirtene… Và!». Non se lo fece dire due volte, il giovane, che subito fu in strada. A gran passi, la lunga zazzera al vento, si diresse verso la «Porta Sluderno» e salì sulla torre; di lassù l'occhio spaziava libero e lontano. Assorto, egli contemplò la campagna che si stendeva ai margini dell'abitato come una nitida scacchiera a riquadri verdi e bruni, bruni e verdi. Prati, campi, orti, frutteti: ogni palmo, ogni zolla di quella terra erano stati riscattati e resi fertili da anni ed anni di paziente e duro lavoro. I tenaci, i laboriosi uomini di Glorenza erano ben meritevoli di aiuto ed egli li avrebbe aiutati. Girò attorno lentamente lo sguardo, mormorò all'aria poche incomprensibili parole. Come ad un richiamo ormai noto e familiare, uscirono i topi, squittendo, dai fossi, dalle cavità dei vecchi alberi, dai buchi dei muri, dall'intrico delle siepi… Dappertutto era un brulicare di musetti aguzzi, di dorsi scuri, argentei, provenienti da mille e una direzioni. D'un tratto sulla strada apparve lo studente: trasse di sotto il mantello un piccolo flauto e cominciò a modulare un'aria dolce e melodiosa. Come d'incanto, la vivace ed irrequieta schiera si ricompose, avviandosi docile per la strada maestra, dietro il giovane che la guidava col magico suono del suo strumento. Se ne andarono per sempre i terribili roditori e la campagna fu salva. Per giorni e giorni i contadini di Glorenza attesero il ritorno dello studente. Egli aveva tenuto fede alla parola data e una bella borsa piena di lucenti monete d'oro era pronta per lui. Dalle finestre, dalle soglie delle case la gente spiava lontano, verso la «Porta Sluderno», aspettandosi di veder spuntare da un momento all'altro la lunga e magra figura del giovane col suo alto cappello a tuba e l'ampio mantello al vento. Ma ogni attesa fu vana.«Che fare? - si chiedevano perplessi gli anziani del paese - quel denaro non si deve toccare: lo affideremo al Giudice della città, perché lo custodisca. Forse un giorno, chissà, il forestiero si farà vivo ed allora…». Così fecero. E da quel giorno - così si dice a Glorenza - la bella borsa piena di sonanti monete è ancora là, ben guardata entro un pesante forziere, che attende il ritorno del misterioso studente, che vinse i topi col suono magico del suo flauto.
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