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MITI & LEGGENDE
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VAL DI GIOVO - RACINES
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BZ
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La campana di Santorsola
Val di Giovo - Racines (BZ)
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Quando la Primavera giunse nella remota Val di Giovo, la neve ricopriva ancora il piano e il monte. Morta sembrava la valle, sotto quella coltre gelida e bianca. Non una voce intorno; solo di quando in quando, il rombo cupo della valanga rompeva il vasto silenzio. Rabbrividì Fata Primavera al soffio tagliente del rovaio che scendeva dai monti e fu per tornare indietro. Ma, d'improvviso, da uno squarcio fra le nubi rise il sole col suo raggiante e tonto faccione. «Rimani - sembrava dire, incoraggiante il sole - rimani, benefica Fata ed io t'aiuterò». Infatti, ai suoi tepidi raggi, la neve a poco a poco si sciolse ed apparve, bruna ed umida, la terra. «Finalmente!» esclamò la Primavera ed impaziente si diede a correre il piano e il monte. Coprì di verde tenero i prati, donò, a manciate, gemme e boccioli agli alberi e alle siepi, rivestì le rocce d'erica purpurea. La valle si faceva di giorno in giorno più verde, più bella. Gli uomini guardavano con occhi fiduciosi e ridenti la loro terra: era tempo di far uscire il gregge al pascolo, di dar mano alla vanga, alla zappa. Si aprirono le stalle e gli ovili, uscirono le pecore con i belanti agnellini e subito si sparsero su per i pendii a brucare i teneri germogli. Nei campi il grano, che durante il lungo inverno aveva dormito sotto la neve, accestiva. Ma un giorno il cielo si fece plumbeo, fosco e cominciò a piovere. Piovve a dirotto per giorni e notti intere; scomparso il sole, tutto divenne grigio sotto la pioggia fredda e greve. Rigagnoli d'acqua torbida, motosa, scorrevano lungo i pendii, si raccoglievano a valle ad ingrossare il torrente. Il Rio di Giovo rumoreggiava sinistramente, rimbombando tra i massi in onde schiumose, in vortici paurosi. Poi l'onda rovinosa ruppe gli argini, si riversò sulle campagne travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. E la pioggia non cessava. Dalle soglie delle case disseminate lungo la costa i contadini scrutavano il cielo, sperando in un raggio di sole. Ma l'acqua come per cattivo sortilegio, cresceva, cresceva ed in breve raggiunse il pendio, scacciando i miseri dalle loro case. Bisognava fuggire, mettersi in salvo finchè c'era ancora tempo; ma dove? Da un'altura a ridosso del monte, una chiesetta tutta bianca, nello spento grigiore del cielo, sembrava invitare gli infelici a cercare lassù un asilo più sicuro. In lunga e lenta fila, i profughi salirono fino all'ospitale rifugio; davanti gli uomini curvi sotto il peso delle masserizie strappate con tanta fatica alla rapacità dell'acqua, dietro le donne con i bimbi più piccoli in collo e i più grandicelli per mano, in silenzio, senza speranza, con il cuore gonfio di pianto e d'angoscia. E la chiesetta accolse quella gente sventurata. Dall'alto dell'aguzzo campanile la piccola campana, la Sant'Orsola continuava a far sentire intorno la sua voce. Piangeva la piccola campana, implorava, invocava pietà e i lenti rintocchi scendevano fin giù nella valle, smorzandosi nella nebbia che stagnava pesante sulla terra sommersa. Come sembravano lontani, ora, i bei giorni di festa! La campana riempiva dei suoi squilli giocondi il monte e la valle. Dalle case, la gente sciamava allegra e saliva alla chiesuola, ed era tutto un garrire di rondini attorno al campanile, mentre sul piccolo sagrato i bimbi giocavano, garruli, al sole. Ma il ricordo del tempo felice rendeva ai miseri più dolorosa, più disperata la loro avventura. E il cielo era sempre nero, nemico, e non smetteva di piovere. Gli uomini guardavano con gli occhi persi l'acqua che continuava a salire e già minacciava anche la chiesetta. Non c'era salvezza, dunque, neppure lassù? Tristemente, i profughi, si rimisero in spalla le loro poche cose e s'incamminarono verso il monte. Soltanto il vecchio campanaro rimase. Come poteva, lui, così vecchio e solo, lasciare l'unica cosa sua, la più cara al suo cuore, la piccola campana? Al mattino, a mezzogiorno, a sera, il vecchietto si rifugiava nel campanile, afferrava con tutte le sue povere forze la fune e tirava, din, don, dan, din, don, dan… La campana rispondeva, riempiva con la sua voce quel lugubre silenzio di morte. Ma lentamente, sotto lo sguardo impietrito del poveretto, l'acqua giunse a lambire il sagrato. Bisognava fuggire finchè s'era in tempo, fuggire subito! Curvo, appoggiato al suo bastone, il vecchio campanaro lasciò la chiesetta, ma prima di allontanarsi, sollevò gli occhi verso il campanile: «Addio, Sant'Orsola - disse con voce di pianto - addio! D'ora in poi non potrò più esserti d'aiuto e dovrai suonare da sola! Addio!». E con passo stanco, più vecchio, più curvo che mai, s'allontanò per il sentiero che portava verso l'alto del monte. Camminava già da un bel po’, quando gli sembrò di udire nell'aria, smorzati e fievoli, i rintocchi di una campana. Credette di sognare e sostò in ascolto. Un rintocco, tanti rintocchi sempre più distinti e sonori:«Mio Dio, ma questa è la Sant'Orsola!» esclamò stupito il buon campanaro e stette ad ascoltare come rapito in un'estasi beata. Din, don, dan, din, don, dan… «E' la sua voce, questa, la sua voce!». E il vecchio rideva e piangeva di gioia come un fanciullo. Continuò a suonare la fedele Sant'Orsola per molti giorni ancora e tanto suonò, che la pioggia a poco, a poco smise di cadere ed apparve il sole. Splendido come un Dio, vinse la tetra nuvolaglia, sfolgorò radioso sulla valle. L'acqua nera, limacciosa cominciò a scendere, la nebbia si sfaldò in veli leggeri che il vento disperse lontano. La terra era avida di sole: sole, sole, sole chiedevano gli uomini, gli animali, le piante. Col sole la terra lentamente risorse a nuova vita. Gli uomini ricostruirono pazientemente le loro dimore, ripresero a lavorare i campi con rinnovato amore. I solchi accolsero le sementi, campi e prati fiorirono. Gli alberi, come ad un invito misterioso, si coprirono di gemme, le gemme si tramutarono in foglie e fiori, i fiori divennero frutti. Una nuova vita risorgeva nella remota Val di Giovo e nella memoria degli uomini svanì a poco a poco anche il ricordo della lontana e terribile sciagura. Ma lassù, nell'alta valle, la montagna rimase spoglia e nuda, né un ciuffo d'erba né un crespo d'erica ravviveranno mai più la morta roccia
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