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Il tesoro di Castelchiaro
Il tesoro di Castelchiaro
Caldaro e Termeno (BZ)

C'è chi crede che molti siano ancora i tesori che la terra cela gelosamente agli occhi degli uomini.
Così la pensava anche Sepp, un giovane ed intraprendente contadino di Termeno, che, in quanto a tesori, la sapeva lunga.
Un giorno, a Caldaro, fra innumerevoli «si dice che … si crede … si narra…» udì parlare di un certo tesoro che, secondo le dicerie della gente, doveva trovarsi, da molti anni, nascosto nei sotterranei di Castelchiaro.
Da quel momento il nostro uomo non ebbe più pace: di giorno, di notte egli non faceva che sognare il tesoro, il favoloso tesoro di Castelchiaro.
E una notte Sepp, armato di piccone e badile, andò al Castello. Il buio fasciava ogni cosa, ma Sepp, pratico dei luoghi, non faticò a trovare il sentiero e in breve giunse sul posto.
Accese la lanterna e con passo cauto si avvicinò alle mura, trovò un breve pertugio, entrò. Un soffio d'aria gelida lo fece rabbrividire; ebbe paura, fu per tornare indietro, ma la brama della ricchezza lo trattenne.
Scese una lunga fila di viscidi gradini e giunse in un profondo sotterraneo. Il dondolio della lampada disegnava, ad ogni passo, strane e paurose ombre danzanti sulle pareti. Nugoli di pipistrelli, spaventati da quell'insolito chiarore, svolazzavano pazzamente qua e là sotto la bassa volta. D'un tratto Sepp inciampò in qualcosa di duro; sollevò la lanterna e vide che due piccole palle scure erano rotolate ai suoi piedi. Incuriosito le raccolse, le soppesò con la mano, erano delle comuni bocce, di quelle che usano da noi per il gioco dei birilli.
Senza dar peso al fatto, Sepp si mise in tasca le due palle e, non avendo trovato di meglio, tornò sui suoi passi. Ma lungo la strada le due bocce cominciarono a farsi pesanti, sempre più pesanti. Sepp non ci pensò due volte: levò di tasca le due palle e con stizza le scaraventò lontano. Rientrò in casa di umore nero; questa volta non aveva avuto fortuna. Si ricordò, allora, di aver letto che, spesso, andando alla ricerca di tesori, si rinvengono oggetti di nessun valore che poi, chissà per quale magia, si tramutano in purissimo oro.
Averci pensato prima! Forse quelle due palle… quelle due palle… erano d'oro! Si precipitò fuori, rifece la strada già percorsa, ma delle due palle nessuna traccia.
Ritornò a casa deluso, ma più che mai deciso a continuare le sue ricerche al castello.
La notte seguente, munito dei soliti attrezzi, tornò a Castelchiaro. La brama dell'oro gli crescava l'audacia. Ritrovò il pertugio, scese le scale e si ritrovò nel sotterraneo.
Lentamente, tastando col piede il terreno, Sepp percorse tutto il lungo corridoio. Frugava con avidi occhi l'oscurità; gli sarebbe stata benevola, questa volta, la fortuna?
D'un tratto scorse accanto al muro una massa scusa. Si avvicinò, guardò meglio: era un aratro, un vecchio aratro usato. «Me lo porto a casa» disse tra sé il giovane «forse servirà a qualcosa!». E forse …
Forte com'era, sollevò in aria l'aratro, se lo caricò in ispalla ed uscì. Ma dopo un po’ quell'arnese cominciò a gravargli le spalle da schiacciarlo, quasi, e Sepp non potè più proseguire; depose a terra l'enorme peso ed attese qualcuno cui chiedere aiuto.
L'alba doveva essere ormai prossima, che già il cielo cominciava a schiarire; voci d'uomini e il cigolio d'un carro provenivano dalla strada vicina. Erano contadini che andavano ai campi. Quando videro Sepp fermarono i buoi e: «Ohè! Buon giorno, Sepp! Che fai costì, sembri di malumore» Non ne posso più - borbottò Sepp - quest'aratro è tanto pesante che non riesco a portarlo a casa!». «Subito fatto - osservarono allegramente gli amici - tu carichi l'aratro sul carro e senza alcuna fatica esso arriverà a casa. Ti va?».
Così fecero e l'aratro arrivò a destinazione. Ora il pesantissimo arnese viene scaricato e trasportato in cantina; gli amici se ne vanno e Sepp rimane solo.
Trepidante si avvicina all'aratro, lo guarda da tutte le parti, lo sfiora con mano leggera; una ruvida crosta di fango secco lo ricopre tutto.
«Quale segreto nascondi sotto questo fango?» mormora tra sé l'uomo e con l'unghia prova a raschiare lo spesso strato di terra che ricopre il vomere. Qualcosa luccica, si, luccica. «E' oro, oro, oro!» grida come impazzito l'uomo!
Sepp, ora, non ha più alcun dubbio e con le unghie trasformate in lime e scalpelli si dà furiosamente a raspare, a sgretolare la secca crosta terrosa. E raspa che ti raspa, sgretola che ti sgretola, finalmente l'aratro appare in tutto il suo prezioso splendore.
Sepp è stanco, ma non sente la stanchezza; rivoli di sudore gli corrono lungo la faccia e il collo, ma egli non se ne accorge neppure. Estatico egli contempla il suo tesoro: è ricco, ora, enormemente ricco.
Per la prima volta quella notte Sepp non dormì. Pensieri inquieti, oscuri incubi lo tormentarono, lo assillavano. Con le prime luci dell'alba Sepp si alzò stanco, abbattuto, esausto.
Uno specchietto appeso alla parete riflettè l'immagine dell'uomo ricco; un viso scavato, due occhi infossati, i capelli… Gettò un grido: i suoi bei capelli neri erano divenuti bianchi, bianchi come la neve, in una sola volta.
Da quel giorno il disgraziato continuò a deperire; si fece taciturno, scontroso, lui, che un giorno era l'anima della compagnia.
«Che hai? - gli dicevano gli amici - Vieni con noi: un bicchierotto di Kretzer (e schioccavano la lingua) scaccerà tutti i pensieri neri e tornerai ad essere il Sepp d'una volta». Ma sepp non li ascoltava, tutto preso, schiacciato dal segreto della sua enorme ed inutile ricchezza. Divenne in breve lo spettro di se stesso, metteva paura al solo guardarlo.
Silenziosa, un giorno, la Morte venne a prenderselo: lo trovò in cantina, davanti al suo tesoro.
Mai nessuno, in paese, ebbe l'ardire di toccare il prezioso aratro, perché, come si vede, non sempre l'oro porta fortuna…


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