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Tille, L'Ondina Prigioniera
Tille, L'Ondina Prigioniera
Val Sarentino (BZ)

Sull'alpe, tra Sarentino e Meltina, ai piedi del «Colle del Pozzo», c'èra una volta un lago. Da molti anni esso è scomparso e nessuno più rammenta il suo nome, se un nome l'ebbe mai il piccolo lago sperduto fra i solitari pascoli montani.
Nel mezzo del lago emergevano pochi scogli di roccia nuda e scabra, che si riflettevano con magico gioco nello specchio cupo ed immobile delle sue acque. Sotto le rocce, là dove l'acqua si faceva scura, scura, quasi nera, s'apriva un profondo abisso.
Si diceva che nel lago abitassero fate: le Ondine. Esse vivevano in un palazzo tutto di lucido cristallo che sorgeva sul fondo del lago. Ma era tanto buio laggiù e mai un raggio di sole giungeva a rischiarare la notte, che avvolgeva nelle sue tenebre l'incantata dimora lacustre. E le Ondine amavano l'azzurro, il verde dei prati, i fiori…
Al tramonto, quando il cielo è tutto di porpora e d'oro, le fanciulle del lago salivano alla superficie a salutare il sole, prima ch'esso scendesse dietro i monti. A nuoto esse raggiungevano la riva e cantando si disperavano per i prati a cogliere fiori, ad intrecciare giochi e danze fino al calare della sera.
E l'aria tutt'intorno risuonava delle loro voci, dei loro trilli giocondi, simili al suono di piccole campanelle d'argento.
Ma com'erano timide le Ondine! Bastava un rumore, una voce inconsueta a farle trasalire: lo scalpitio d'un cavallo, un passo d'uomo le intimoriva a tal punto che, subito, smarrite e tremanti, correvano a tuffarsi nel lago.
Un giorno d'estate - il sole accendeva infuocati barbagli d'oro fra le cime degli abeti - il contadino del maso Wieser si trovò a passare nelle vicinanze del lago. Camminava lentamente chè il cammino ne aveva fatto molto quel giorno ed era stanco; tornava dalla malga e contava di essere a casa prima di notte.
D'un tratto gli giunse all'orecchio l'eco d'un canto lontano; sostò in ascolto. Era un dialogo canoro di voci festose, limpide, fresche. Chi cantava così, a quell'ora? Il giovane proseguì il suo cammino, soffermandosi di tanto in tanto ad ascoltare. Ed ecco, di tra gli alberi, gli apparve il lago.
Sulla riva le Ondine coglievano fiori stornellando ignare, felici. Nascosto dietro un albero, il contadino stette, tutt'occhi, ad osservare. Le Ondine! - disse trattenendo il respiro -. Ecco le misteriose abitatrici del lago, di cui aveva udito spesso parlare, a veglia, nelle lunghe serate invernali.
Dicevano i vecchi che molte e molte cose sapevano:«In alto, ai piedi del "Colle del Pozzo", c'è un lago. Nel lago abitano le Ondine. Le leggiadre fanciulle amano l'azzurro del cielo, il verde dei prati, i fiori, ma sono timide e temono la gente. Felice colui che riesce a condurre nella sua casa un'Ondina! Benedizione, prosperità, benessere fioriranno sotto quel tetto».
Così aveva udito narrare il giovane: una ridda di pensieri gli metteva la testa in subbuglio. Camminava, ma non vedeva la strada, tanto era immerso nel suo fantasticare; fortuna, prosperità, benessere… Quanti, quanti castelli in aria!
Giunse al maso che annottava e non fece parola con alcuno dell'accaduto.
Il mattino seguente andò difilato a Valas da un suo amico, che aveva fama di intendersi di magia.
«Ascolta, - disse il contadino del maso Wieser con fare circospetto - hai mai udito parlare delle Ondine? Sai chi sono?»
«Certamente che lo so, - rispose l'uomo, guardando con una certa sorpresa l'amico - e so anche …».
«Già, tante cose tu sai - interruppe impaziente il contadino - su, dunque, apri uno di codesti libroni e dimmi che debbo fare per condurre a casa mia una di quelle graziose fanciulle».
«Ehm, ehm, l'impresa non è facile - osservò l'amico, sfogliando un grosso librone di cartapecora - non è facile, ma, ascolta…».
«Aggioga al carro una coppia di buoni neri che non abbiano neppure un peluzzo bianco e raggiungi le vicinanze del lago prima che suoni l'Ave Maria della sera. Quando sarai arrivato, lascia il servo a guardia del carro e tu nasconditi in un cespuglio vicino alla riva e attendi. Non dovrai attendere a lungo, chè le Ondine, alla solita ora, usciranno a danzare sul prato; tu allora, esci ratto, getta il tuo mantello addosso alla più vicina, carica la prigioniera sul carro, frusta i buoi e via…La fanciulla non potrà più fuggire e se in casa la tratterete bene …»
Ma il contadino non aveva più bisogno di sapere altro, salutò frettolosamente l'amico e fece ritorno al maso. Pochi giorni dopo, al mercato di Bolzano comperò i due buoi. Erano due bestie poderose, nere dalla punta del naso alla punta della coda; il più bel paio di buoi del mercato. A casa si dette gran da fare, preparò il carro, aggiogò i buoi neri e, col servo, s'avviò verso il «Colle del Pozzo».Quando vi giunsero, il sole stava ancora alto sopra gli abeti; l'uomo si nascose entro un cespuglio vicino al lago e si mise pazientemente in attesa.
D'un tratto le acque s'incresparono ed apparvero alla superficie alcune leggiadrissime Ondine. Le fanciulle raggiunsero rapide la riva, toccarono terra e con passo leggero cominciarono a danzare, gaie, sul prato.
All'improvviso il contadino uscì dal suo nascondiglio e, adocchiata un'Ondina, le gettò addosso il suo ampio mantello, avvolgendovela tutta da capo a piedi.
Un grido disperato risuonò nell'aria tranquilla della sera. Sorprese, atterrite, le Ondine corsero a tuffarsi nel lago, mentre la poverina, ormai prigioniera, si dibatteva piangendo, supplicando, invano, di essere lasciata libera. Il contadino diede un fischio, accorse il servo. La fanciulla fu caricata sul carro; un secco schiocco di frusta e via… Correvano, volavano, le due bestie nere, sbuffando, sprizzando scintille dai pesanti zoccoli ferrati.
Così l'ondina venne a vivere nella piccola, grigia casa di contadini, posta a mezza costa fra il monte e la valle.
Tutti le volevano bene, grandi e piccini, perché era buona, dolce, gentile. E veramente la piccola fata del lago portò la benedizione sotto quel tetto; pace e serenità regnavano in famiglia, la terra dava raccolti sicuri, abbondanti, il bestiame rendeva… Il contadino del maso Wieser poteva chiamarsi fortunato; l'Ondina pensava a tutto, l'Ondina provvedeva a tutto.
Leggera, sorridente, ella s'aggirava tutto il giorno per la casa; dava una mano qua, un tocco là, dove c'era bisogno, in silenzio, quasi che il parlare le costasse fatica. E mai rivelò ad alcuno il suo nome. Finchè un giorno …
Un giorno il contadino si trovò a passare, cavalcando, presso il lago. D'un tratto una voce proveniente dalle acque gli gridò: «Forestiero dal cavallo bianco, ascolta! Dì a Tille che l'uomo è morto!». Tille, Tille si chiamava forse così l'Ondina prigioniera? Ma che significa quel misterioso messaggio?
Turbato e perplesso, l'uomo giunse a casa e riferì alla fanciulla le parole udite. La poverina impallidì, si fece triste e, mostrando di voler essere lasciata sola, si ritirò nella sua cameretta.
Il mattino seguente ella entrò nella «Stube» che già tutti stavano seduti attorno alla tavola per la colazione. Si vedeva che aveva pianto. Si accostò alla tavola e tenendo per la mano un gomitolo di filo disse: «Devo andarmene, ma vi lascio questo gomitolo in dono; nessuno chieda mai della sua fine», e così dicendo si allontanò e scomparve. La vecchia contadina del maso Wieser, la nonna, prese con mano tremante il dono e lo pose gelosamente nel cassettone.
Da quel giorno non si seppe più nulla della dolce fatina del lago, ma tutti avvertivano la sua presenza invisibile nella casa e poi c'era il gomitolo … e il gomitolo chiuso là, dentro il cassetto, fra mazzolini di profumata lavanda, portava fortuna a quella gente. Tutto andava a gonfie vele, ma un giorno…
Un giorno capitò, per caso, al maso la sarta del paese, donna curiosa e ciarliera oltre ogni limite. Dopo aver parlato di questo e di quello, la donna uscì a dire: «Ma, insomma, me lo fate vedere codesto gomitolo portentoso?». La vecchia contadina nicchiava, ma il figlio, ridendo sotto i baffi disse: «Ma si, mostrateglielo, dunque: non è che un gomitolo!».
Quando la sarta l'ebbe in mano lo osservò, lo rigirò da tutte le parti poi, come parlando tra sé, mormorò: «Ma questo gomitolo non finirà mai…». Non ebbe il tempo di aggiungere altro che un'improvvista folata di vento spalancò la finestra, irrompendo furiosa nella «Stube».
Smarrita, tremante, l'incauta si rannicchiò tutta in un angolo, aprì la mano… Gettò un grido: il gomitolo era scomparso! Nella mano non c'era che un pugnello di cenere.


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