Il «Lago di Santa Colomba»
|
|
Il «Lago di Santa Colomba»
Val d'Adige e di Trento (BZ)
|
L'origine dei laghi alpini ha sempre qualcosa di misterioso. Gli azzurri specchi d'acqua, formatisi nel corso dei millenni, attraverso una seria indefinibile di mutamenti geofisici, rappresentavano per le popolazioni primitive, ingenue e prive di cognizioni scientifiche, autentici prodigi, e davano luogo a narrazioni fantastiche dapprima di contenuto interamente pagano, quindi modificate e nobilitate da elementi della pristina tradizione cristiana. Spesso le leggende si identificano, o presentano fra loro sensibili analogie, con le sole variazioni determinate dalla diversità dei nomi e dalle singolari caratteristiche dei luoghi. Un notevole parallelismo si nota fra le leggende «lacustri» del Trentino e quelle dell'Alto Adige. Le prime sono contrassegnate da un carattere più religioso, che ha riscontro negli stessi nomi dei laghi: «Lago santo» di Cembra, «Lago santo» di Monte Terlago, «Lago santo» del Monte Zeledria e Lago di San Giuliano, ambedue nella Valle Rendena, Lago di Santa Massenza di Vezzano, Lago di Santa Maria di Tret, nella Val di Non, Lago di San Mauro sull'Altipiano di Pinè, Lago di San Pellegrino al passo omonimo, Lago di San Martino di Roncegno (ora scomparso), Lago di Sanspirito di Tuenno (scomparso), Lago di Santa Giustina in Val di Non (artificiale), e, infine, il «lago di Santa Colomba», sul Monte Calisio (Argentario), presso Trento. L'origine di questo lago - la cui leggenda presenta notevoli analogie con quella del Lago di Caldaro - viene qui richiamata, anche se appartiene al ciclo delle leggende trentine, per un motivo, per così dire, sentimentale. Il capostipite dei Merci trentini, lasciata circa sette secoli fa la natia Grezzana, in Val Pantena (Verona), si trasferì appunto a Trento, per andare a lavorare nelle miniere del Monte Argentario (che i minatori tedeschi chiamavano Kalisberg e gli italiani Calisio). La famiglia Merci ha infatti, ancor oggi, i suoi rami principali nel territorio di Vigo Meano e di Montevaccino, frazioni di Trento, sparse sulle pendici del Monte Calisio. Col trascorrere degli anni il cognome Merci subì due corruzioni, forse dovute ad imperfetta trascrizione nei registri anagrafici da parte di personale di altra lingua: Mersi e Merzi.
Sul versante nord-orientale del Monte Argentario, con un orizzonte fatto solo di verde e di cielo, giace, a 922 m.s.m, il tranquillo, romantico «Lago di Santa Colomba», chiamato anche «Lago Santo», da quando venne esorcizzato contro gli spettri e gli spiriti maligni che lo popolavano. Si narra che un giorno lontano, mentre un pastorello conduceva al pascolo il gregge, vide un globo luminoso che saliva sempre più in alto. La bolla di fuoco, che mandava un bagliore accecante, si fermò per un attimo nel cielo, poi precipitò d'improvviso, scomparendo nello stesso luogo donde prima si era levata. Avvicinatosi, pieno di stupore e di sgomento, il pastorello scorse un foro profondo, tondeggiante. Tornato a casa, il ragazzo si affrettò a raccontare quanto aveva visto ai suoi familiari che non gli badarono, pensando che si fosse trattato di una allucinazione. Ma il prodigio tornò a ripetersi. Allora il pastorello decise di scrutare più a fondo il mistero. Un giorno si fermò accanto al foro in cui si celava il globo luminoso, e attese. Ad un tratto, ecco apparire un omiciattolo, con un cappuccio scarlatto e una tonaca che gli giungeva sino ai piedi. Aveva una barba lunga e fluente … Allo spaventato pastorello spiegò che egli era uno dei «nani metalliferi», fedeli guardiani dei tesori nascosti nel cuore delle montagne. Il globo luminoso indica ai preferiti dai nani il punto in cui debbono scavare, per trovare il migliore e più abbondante metallo. Ma i fortunati minatori non debbono dimenticare l'amore per il prossimo e la carità: guai se dovessero obliarli; la loro ricchezza se ne andrebbe in fumo! Detto ciò, il nano sparì. Il pastorello avvertì la sua famiglia del fatto prodigioso, e subito tutti si misero a scavare come forsennati nel punto in cui era apparso il globo di fuoco. In breve, raggiunsero i filoni più abbondanti della miniera, da cui trassero grandi quantità di argento. Col passare del tempo, i poveri pastori divennero ricchissimi proprietari; giunsero minatori dai paesi vicini, i «canopi» e i «silbrari» (dal tedesco Bergknappen, minatori e Silber, argento) crebbero di numero, sorsero interi villaggi; al benessere succedette il dispendio; i costumi si rilassarono, la prepotenza, la cattiveria e l'egoismo prevalsero. Agli uomini semplici di un tempo - il pastorello e i suoi familiari erano ormai scomparsi -, subentrò la dissolutezza e l'avidità del denaro. Una sera giunse un vecchietto, povero in canna e malato. Chiese ospitalità, ma nessuno gliela concesse. Tremante dal freddo, il pellegrino si rifugiò, infine, nella misera capanna di un'umile vecchietta, che lo accolse di buon grado e gli dette un tozzo di pane e un giaciglio. Durante la notte scoppiò un pauroso temporale: pareva il giudizio universale. Poi si susseguirono violente scosse di terremoto sotto un cielo da apocalisse. Le case cominciarono a crollare, si udivano dappertutto grida strazianti di morte. Quasi tutti i minatori perirono, solo pochi scamparono alla morte con la fuga. Si aprirono le cateratte del cielo e venne giù il diluvio. Al mattino non c'era più traccia di vita umana: un vasto lago, il «Lago Santo» del Monte Argentario, aveva sommerso ogni cosa. Il nano del globo di fuoco aveva attuato la sua terribile minaccia. Nei mattini più sereni, sul fondo del lago una gran croce scintilla ai raggi riflessi del sole. E' la croce della chiesa del paese sommerso: tra le rovine la fantasia popolare scorge i canopi, che tengono in mano gli strumenti del lavoro e cercano disperatamente, ma invano, di fuggire
|
|